“Tutto è nato per gioco, dopo un viaggio in Laos”.
Così inizia il racconto di Aurelio Bracco, il co-founder del progetto Madreterra Caffè dell’associazione Mosaico di Palermo.
L’arabica della miscela del caffè Madreterra, infatti, proviene proprio dal Laos, dove si stagliano campi sterminati a 800 metri sopra il livello del mare.
Il clima di questa zona, ideale per la crescita delle piantagioni di caffè, rende il prodotto di questa terra uno dei più pregiati al mondo, ci spiega Aurelio. Inoltre, la stessa lavorazione dei chicchi di caffè non subisce alcun processo meccanizzato: la stessa essiccazione avviene alla luce del sole, e non attraverso dei forni. Il prodotto finale, dunque, è sicuramente biologico.
Dopo aver vissuto in questo luogo incontaminato per settimane, Aurelio e Cristiana Girolimetto, sua compagna di viaggio, decidono di voler contribuire alla crescita dei piccoli villaggi di agricoltori che li hanno ospitati. Per farlo, scelgono una strada complessa e sicuramente non scontata: anziché fare una semplice donazione, che rimane un aiuto isolato e con poche prospettive future, costruiscono un’intera catena produttiva.
Contattano un broker a Hong Kong e riescono a importare in Sicilia il primo carico di caffè arabica, che viene subito mandato in torrefazione. Il primo test va a buon fine e così Aurelio e Cristiana decidono d’imbarcarsi in quest’impresa.
Oggi Madreterra Caffè vende il suo prodotto in tutta Italia tramite uno store online, ma è sulla città di Palermo che Madreterra riesce a centrare in pieno l’obiettivo della sostenibilità:
qui le consegne, infatti, possono essere fatte in bicicletta.
In questo modo, il consumo di caffè non ha ricadute sull’ambiente, risparmiando sulle dannose emissioni di CO2 del trasporto su gomma, che invece nel caso della vendita online continua a essere necessario.
Perché la sostenibilità e l’economia circolare, insieme al biologico e all’equo-solidale, sono due dei cardini fondamentali dell’attività di Madreterra sin dall’inizio.
Parte del progetto di Madreterra, infatti, riguarda proprio l’educazione all’eco-sostenibilità: diversi sono i consigli e gli approfondimenti che è possibile leggere sulla loro pagina web e all’interno della newsletter. In ognuno, traspare sempre l’intento di trasmettere un tipo di consumo consapevole attento al riciclo: memorandum sulla giusta differenziazione dei rifiuti o anche, più semplicemente, riflessioni su come consumare un caffè in casa senza produrre scarti di troppo.
“Una delle cose più banali che, tuttavia, non è per niente scontata, è il fatto di consumare il caffè casalingo nella tazzina di ceramica, anziché nel bicchierino di plastica o di carta. Far riflettere le persone su queste pratiche quotidiane, magari anche dando qualche consiglio più tecnico come far riscaldare le tazzine con l’acqua calda, è uno dei nostri impegni per diffondere un modo di pensare e di agire più sostenibile“.
Un’altra abitudine difficile da cambiare è quella dell’accumulazione.
Uno dei primi esperimenti di Madreterra è stato vendere i propri prodotti in sacchi di iuta che poi andavano restituiti e riutilizzati dai clienti all’acquisto successivo. In questo modo, proprio come le bottiglie di vetro in cui veniva venduto il latte decenni fa, sarebbe stato possibile risparmiare le risorse materiali e riciclare i prodotti riutilizzabili.
Tuttavia, questo esperimento non è andato a buon fine: “i clienti dimenticavano di riportare il sacco e così eravamo costretti a dargliene uno nuovo. Alla fine, il concetto stesso di riuso veniva a crollare”.
Ma se non sono i clienti a cambiare, allora lo fa chi li rifornisce.
Si comincia dai bicchierini di carta, dalle palette in legno e dal packaging in cartone riciclato.
Poi è la volta delle capsule compostabili riciclabili al 100%, grazie al contenitore in biocellulosa, rivestita in PLA. Ma i test non sono finiti: il prossimo step è la capsula a tenuta d’aria, in grado di mantenere la fragranza per due anni senza l’involucro in plastica, altrimenti necessario.
Nel negozio online di Madreterra poi si possono trovare anche altri prodotti della filiera equo-solidale, come lo zucchero di canna proveniente dall’Ecuador o il caffè verde. I prezzi dei prodotti Madreterra sono ormai allineati al mercato, grazie alla diffusione sul territorio che ha permesso a questa iniziativa di competere con gli altri marchi del settore.
Il ricavato di questo progetto va alla stessa associazione:
il lavoro della squadra che si dedica a quest’attività è tutto volontario.
Il progetto è nato dalla fiducia in un’idea che della sostenibilità ha fatto il suo primo obiettivo. E le difficoltà non sono mancate.
“Dopo due anni abbiamo pensato persino di abbandonare il progetto perché ci siamo scoraggiati non vedendo un ritorno dalle nostre spese: non è facile aprire un’attività“.
Tuttavia Madreterra ha resistito nonostante lo sconforto, e adesso le prospettive future non escludono che questo progetto possa diventare sempre più consistente e riuscire ad acquisire un’autonomia anche sul mercato più esteso.
L’aspirazione maggiore riguarda l’economia circolare.
“È fondamentale creare una rete di produttori che costituisca una struttura in grado di auto-sostentarsi con lo scambio dei propri prodotti, il tutto con il minimo scarto. Per esempio, se tu produci scatole di cartone e io ho bisogno del packaging per il mio prodotto, e, allo stesso tempo, tu hai 15 dipendenti e io ti posso vendere il mio caffè, possiamo collaborare. In questo modo abbattiamo i costi e rafforziamo i guadagni”.
Questo il prossimo step cui mira questa realtà palermitana che, con costanza e impegno, è riuscita ad apportare il suo contributo a un mondo più sostenibile, equo e solidale.
Il 2% del ricavato dell’associazione, infatti, viene devoluto in aiuto ad altre comunità.
Una delle storie a lieto fine di cui Madreterra si è resa protagonista riguarda il villaggio di Kasi, in Laos: qui una donna con tre figli aveva bisogno di aiuto per trasferirsi dal suo villaggio e allontanarsi dal marito violento. Ma mancavano le risorse. Così, grazie a un crowdfunding, organizzato dall’associazione, in soli sei mesi la famiglia è stata trasferita in un’altra casa costruita ad hoc.
Si tratta di un esempio di economia solidale che consente a tutti noi di compiere quotidianamente una scelta sostenibile e solidale, facile come bere un caffè.